Dialogo al buio di Alessandro Patruno

Penso che non ci sia studente a cui non piacciano tre mesi di vacanza ma dopo aver finito il mio servizio come animatore dei bambini nel mio oratorio, mi mancavano ancora due settimane prima di partire per il mare. Le giornate si facevano lunghe e noiose, per questo mia mamma mi propose di affrontare un’esperienza particolare che mi avrebbe fatto molto riflettere. Mi disse che saremmo andati a un evento chiamato “ DIALOGO AL BUIO”, ma non mi anticipò molto di più, anzi si raccomandò di non sbirciare su google. Prendemmo la metropolitana e scesi a Palestro, dopo poco mi sono ritrovato davanti all’ Istituto per ciechi di Milano. Questa scuola è ancora attiva ma oltre alle lezioni per i suoi studenti, offre la possibilità anche alle persone normali di affrontare un percorso che li metta in condizione di provare a vivere con un deficit sensoriale come la ciecità. Questo percorso si chiama proprio “ DIALOGO AL BUIO” e una volta terminato ha cambiato il mio modo di definire il concetto di normalità e handicap perché molto dipende dal contesto. Ci ha accolto un insegnante della scuola di nome Roberto, lui da subito si è definito cieco, non..non vedente o altro perché la cecità è il nome della sua malattia, qualcosa di cui non ci si deve vergognare. Siamo entrati in una stanza semi buia per permettere ai nostri sensi, di abituarsi alla nuova situazione. Roberto ci ha anticipato che quando saremmo entrati nel buio totale, avremmo potuto avere un leggero malessere perché il corpo si sarebbe messo sulle difensive facendo super lavorare occhi e cervello ma ci ha anche rassicurato spiegandoci che poi sarebbe passato velocemente. Era tutto buio ma davvero buio, avevamo solo a disposizione, un bastone e tutti gli altri sensi in particolare tatto e olfatto. Eravamo un gruppo non molto numeroso e dopo pochi minuti la prima sorpresa: Roberto era perfettamente capace di associare i nomi alle nostre voci e soprattutto a sapere in quale punto esatto della stanza noi ci trovavamo. Come dicevo, sin da subito mi sono chiesto chi dei due, a questo punto era quello normale. Roberto si muoveva in modo sicuro io invece dovevo muovere il bastone e mettere le mani avanti per evitare di sbattere contro le pareti o all e persone. In realtà eravamo tutti nelle stesse condizioni e questo a volte creava situazioni divertenti di cui abbiamo riso tutti insieme. Eravamo perfetti sconosciuti ma in più di un’occasione ci siamo dovuti aiutare, tenendoci per mano. Roberto ci ha guidati all’ interno di stanze a tema: natura, città, scuola e bar, aiutandoci a leggere gli ambienti con altri occhi..come le mani e il naso. Perfino prendere una bibita al bar è stata un’impresa. Al bancone c’era una persona cieca che sapeva esattamente dove trovare le cose e che resto darti mentre noi faticavamo a trovare il bicchiere, rischiando di rovesciare tutto. L’ esperienza che forse mi ha emozionato di più è stata sperimentare la scrittura e la lettura dell’alfabeto Braille, un sistema in rilievo che attraverso la combinazione e la posizione di asticelle, crea un vero e proprio sistema di lettura e scrittura. Grazie alle spiegazioni di Roberto mi sono reso conto di quante volte ho incontrato questo tipo di alfabeto senza neanche sapere di cosa si trattasse, sugli ascensori o sulle scatole delle medicine, ad esempio. Oggi con le nuove tecnologie, la vita di una persona cieca è enormemente semplificata ma il Braille fino a circa cinquant’ anni fa, ha permesso anche ai non vedenti di poter aver una buona autonomia e cultura, come tutte le altre persone. Alla fine del percorso abbiamo potuto rivolgere all’ insegnante tutte le domande che volevamo senza imbarazzo. Abbiamo parlato di come si gestiscono a casa da soli, dei cani guida, dell’affrontare la strada e il traffico ma dalle sue risposte ho capito che la cosa che ancora temono di più è il pregiudizio verso chi è diverso. Le barriere di cui tanto si parla non sono necessariamente quelle fisiche ma soprattutto quelle che dividono le persone. Ecco perché chiamano questa esperienza “dialogo” ascoltare, sentire che c’è un altro accanto a te, provare a capire se ha bisogno e cosa puoi fare per lui, usando solo quel poco o quel tanto che hai ti fa vedere la vita in modo diverso e la cosa strana è che per vedere, gli occhi sono l’ultima cosa che mi è servita.

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